La gnatologia è alla base di un trattamento terapeutico corretto.

Essa si occupa dello studio dei rapporti tra i denti, in chiusura e durante i movimenti della bocca.

Quando la bocca è chiusa sono i denti sono a contatto tra loro e danno stabilità e posizione alla mandibola. Quando la mandibola si muove, durante la masticazione e la fonazione, i denti non si toccano mai, ma si sfiorano tra loro.

I denti male allineati possono quindi causare problemi che si riflettono alle articolazioni mandibolari (ATM), infatti quando la bocca è chiusa, sono i denti che stabilizzano nello spazio la mandibola perché le ATM non funzionano come dei cardini, ma i capi ossei che la compongono hanno la possibilità di muoversi all’interno dell’articolazione stessa; quindi, la loro posizione è determinata dai denti in chiusura. Anche durante i movimenti della bocca, denti storti possono creare delle eventuali interferenze che si riflettono sulla salute, infatti quando la bocca si muove, durante la masticazione o la fonazione, i denti non si toccano mai, ma si sfiorano, sono possibili solo leggeri contatti che controllano i movimenti. Una bocca sana, con denti ben posizionati, si muove con movimenti lineari e fluidi, con il minimo sforzo muscolare; quando invece ci sono delle interferenze si creano dei percorsi di evitamento che la mandibola esegue, mettendo quindi in funzione più gruppi muscolari creando tensioni fastidiose e tragitti anomali delle porzioni ossee dell’articolazioni.

Le patologie che derivano, che una buona conoscenza della gnatologia aiuta a curare, sono molteplici, ad esempio;

• si possono sviluppare problemi di abrasione anomala dei denti fino a consumarli completamente;
• problemi gnatologici sono un fattore di rischio per la progressione della malattia parodontale;
• si possono manifestare dolori muscolari nella zona del viso e della testa fino alle fastidiosissime cefalee muscolo tensive;
• l’articolazione può iniziare a funzionare male con l’insorgenza di una “incoordinazione condilo meniscale” con sintomi che vanno dai semplici rumori, click articolari, al blocco del movimento sino all’artosi;
• possono insorgere problemi al di fuori della testa con dolori cervicali, alle scapole ed alla schiena, alcune scoliosi possono essere causa di una posizione errata della mandibola.

Come tutte le patologie per poter curare le problematiche riconducibili alla gnatologia occorre eseguire una corretta diagnosi. Come per tutte le pratiche mediche anche per la gnatologia esistono diverse scuole di pensiero, quella a cui il Dott. Massimo Secchiari fa riferimento è la scuola Viennese del Prof. Rudolf Slavicek.

I mezzi diagnostici utilizzati sono vari e solo dall’integrazione di tutti si può ottenere una diagnosi esatta, questi sono i seguenti:

• esecuzione di una corretta anamnesi attraverso un colloquio mirato con il paziente;
• visita gnatologica che prevede una palpazione muscolare ed articolare con un esame obbiettive dei movimenti della bocca;
• esecuzione di un bruxchecker che permette di visualizzare i contatti involontari dei denti durante il sonno;
• Analisi su articolatore della posizione dei denti e dei contatti dentali;
• Esame cefalometrico che si fa su una radiografia laterale del cranio;
• Esame condilografico che non prevede alcun tipo di radiazione e si fa attraverso uno strumento che montato sui denti permette di visualizzare i movimenti del condilo della mandibola;
• Eventuale Risonanza Magnetica delle articolazioni.

Tutto l’iter diagnostico porta alla definizione di una diagnosi che permette la realizzazione di un bite che sarà usato sia come test diagnostico che come terapia iniziale delle problematiche gnatologiche.

La realizzazione del Bite non è da considerarsi come terapia definitiva, ma come aiuto per trovare una posizione terapeutica finale che poi dovrà essere raggiunta attraverso terapie più definitive come trattamenti ortodontici e/o protesici.

Quando si entra in un qualsiasi studio medico, la condizione essenziale che deve saltare subito all’occhio è la sensazione di igiene e pulizia. In un ambulatorio dove vengono effettuate delle procedure invasive, questa igiene deve essere ancor di più evidente. Dal 2000 la regione Marche ha imposto dei requisiti minimi a tutti gli studi medici ed ambulatori, per poter esercitare la professione. Tra questi requisiti minimi non potevano mancare quelli per la sterilizzazione con l’obbligo di possedere delle attrezzature minime che devono essere controllate annualmente. Oltre però all’obbligo per legge, secondo me esiste un obbligo professionale e morale verso tutti gli utenti che si avvicinano ad uno studio medico al fine di offrire un servizio di qualità e di serietà.

Presso il nostro studio vengono da sempre seguite delle linee guida precise al fine di garantire la massima igiene e sicurezza. Scopo di una accurata disinfezione e sterilizzazione è quello di impedire il passaggio di malattie infettive tra un paziente ed un’altro è necessario quindi pulire e soprattutto disinfettare con prodotti efficaci le sale operative tutte la volte che si utilizzano.

La disinfezione consiste in quelle operazione atte a ridurre al massimo gli elementi patogeni, può essere chimica (sostanze disinfettanti) o fisica (calore), ha il limite di non eliminare tutti i batteri e le spore.

La sterilizzazione consiste nella eliminazione di tutti i batteri, sia patogeni che no ed anche delle spore, che sono le più resistenti. Anche questa può essere chimica o fisica.

Un discorso particolare va fatto per gli strumenti usati per le procedure specialistiche. Questi infatti vanno distinti in tre grosse categorie:

• Articoli non critici: sono quegli strumenti che vanno a contatto solo della cute integra, un esempio può essere la poltrona, quindi non necessita di sterilizzazione, ma è sufficiente le pulizia e la disinfezione;

• Articoli semicritici: sono quelli che vanno a contatto con le mucose del paziente, necessiatano di un alto grado di disinfezione, sono al esempio gli specchi per le foto intraorali, o gli apribocca per le foto;

• Articoli critici: sono quelli che vanno a contatto con il sangue del paziente e quindi necessitano solo della sterilizzazione. Nel nostro studio la disinfezione viene attuata attraverso l’uso di sostanze chimiche prodotte dalla Oroclean in svizzera.

Nello specifico le sale operative vengono pulite e disinfettate con l’Isorapid che è un disinfettante a largo spettro. La presenza di due sale operative permette agli operatori di effettuare una più accurata igiene e disinfezione tutte le volte che vengono usate. Quindi tra un paziente e l’altro vengono pulite e disinfettate le poltrone, i piani di lavoro e tutto quello che viene a contatto con l’utente.

A questo punto tutti gli articoli vengono presi e portati alla sala sterilizzazione dove si inizia il processo della profonda disinfezione e sterilizzazione. A tal fine lo studio è dotato di attrezzature specifiche che sono la vasca di decontaminazione, la vasca ad ultrasuoni, la sigillatrice ed un’autoclave di classe B. Gli articolo critici che non possono essere introdotti in questo ciclo sono solo monouso e quindi buttati tutte le volte che si adoperano, un esempio sono gli aspirasaliva, il puntale per l’aria e le lame dei bisturi.

Tutti gli altri articoli vengono messi nella vasca decontaminante per almeno 30 minuti, qui si trovano a contatto con una soluzione disinfettante e detergente base di Orocid Multisept.
Lo scopo è quello di diminuire al minimo la carica batterica degli strumenti per una più sicura manipolazione da parte degli operatori.

Il passo successivo è quello di immergere tutti gli strumenti nella vasca ad ultrasuoni riempita di una soluzione sempre di Orocid Multisept che però è riscalatata a 60 °C. Lo scopo è quello di disinfettare ulteriormente gli strumenti e quello di pulirli dai residui organici o di cemento. A questo punto gli strumento vengono risciacquati, asciugati e controllati, quelli ancora sporchi vengono ripuliti meccanicamente e nuovamente disinfettati. Gli strumenti così puliti ed asciugati vengono chiusi e sigillati, grazie ad una termosigillatrice, all’interno di buste speciali. Quest’ultime sono costituite da due strati, uno di poliestere e l’altro di carta medicale, quest’ultima permette la penetrazione del vapore durante il ciclo di sterilizzazione, ma a temperature ambiente non permette la penetrazione batterica. Tutte le buste vengono datate a numerate.

Ora gli strumenti sono pronti ad essere sterilizzati in autoclave.

L’autoclave da noi usata è la Melag 40 B che permette la sterilizzazione degli strumenti con un ciclo a vuoto frazionato. La sterilizzazione si ottiene grazie al vapore che entra a 134°C, quindi con una pressione di più di 2 atmosfere, per un certo periodo di tempo, da 3 a 20 minuti. Il vapore deve entrare in un ambiente privo di aria, e questo lo si ottiene grazie ad una pompa del vuoto che lo crea non una volta sola, ma tre volte prima di procedere alla sterilizzazione. In poche parole la macchina crea prima il vuoto, poi immette vapore, poi si aziona ancora la pompa e ricrea il vuoto e rimette ancora vapore e quindi di nuovo ricrea il vuoto e rimette vapore, per questo si dice che il vuoto è frazionato, così si ha la sicurezza di non avere più aria all’interno della camera.
Alla fine del ciclo gli strumenti vengono asciugati e le buste così preparate si possono risistemare nei cassetti e quindi essere utilizzati.
La prova che le buste sono passate in questo ciclo sta nella busta stessa che presenta una barra colorata che cambia di colore con la temperatura.

L’ortodonzia è quella branca dell’odontoiatria che si occupa spostare i denti stori denti storti in posizioni adeguata. Questo viene fatto attraverso delle forze che vengono applicate ai denti e\o alle ossa mediante apparecchi più o meno complessi. Scopo dell’ortodonzia è quello di dare una estetica ed una funzione corretta all’organo masticatorio; quindi, non si deve limitare al semplice allineamento ma a ripristinare i corretti rapporti tra le arcate in modo da prevenire eventuali disturbi cranio-mandibolari, infatti a volte accade che pur avendo denti ben allineati, con un’estetica gradevole, danno comunque vita a posizioni tra le due arcate scorrette, quindi creare problemi che possono manifestarsi subito o in tempi successivi.

A livello dentale le malocclusioni si possono scolasticamente dividere in tre categorie:

• La prima classe dentale: è la posizione ideale della bocca, in cui il molare inferiore si trova più avanti di una cuspide, i canini inferiori si trovano a posizionarsi tra il canino ed il dente laterale superiore, questa tipologia di occlusione è quella che idealmente ha minor problemi funzionali de estetici, anche se purtroppo non è la regola;
• La seconda classe dentale: è caratterizzata da una posizione dei denti della mandibola più posteriore rispetto ai superiori, il molare infatti si trova una cuspide più in dietro, rispetto al molare superiore, il canino inferiore si trova tra il premolare ed il canino superiore. Si possono individuare sue sottoclassi chiamate divisioni, la 1° e la 2° divisione, differenziano tra loro per la posizione degli incisivi superiori. La Prima divisione ha gli incisivi superiori orientati verso l’avanti, quindi con il loro margine incisivo che va verso il labbro inferiore ed è lontano dagli incisivi inferiori, creando spazio tra di loro, infatti, a volte, il paziente che ha questa problematica tende ad infilare il labbro inferiore al di sotto degli incisivi. La seconda divisione ha gli incisivi superiori inclinati all’indietro ed il margine incisale a ridosso degli incisivi inferiori, spesso, per mancanza di spazio. i denti laterali superiori si trovano inclinato verso l’esterno. Questo tipo di classe dentale ha un maggior rischio di andare incontro a disfunzioni cranio-mandibolari proprio perché la retrusione mandibolare causa sofferenza alle strutture articolari che sono più compresse;
• La terza classe dentale è caratterizzata da un rapporto più anteriore dei denti della mandibola rispetto alla prima classe in cui il molare inferiore si trova completamente in avanti rispetto al superiore tanto che non relazionano tra loro, il canino si trova in relazione con il laterale superiore ed il più delle volte si trova in relazione inversa con esso, cioè è più esterno del suo antagonista superiore, anche gli incisivi inferiori si possono trovare esternamente ai superiore dando vita ad un morso inverso anteriore. È la classe dentale che più raramente va incontro a problematiche legate all’articolazione tempro-mandibolare, ma hanno un impatto estetico più importante.

In realtà la posizione tra le due arcate non è mai netta e si verificano sempre situazioni intermedie a cui si aggiungono problematiche trasversali che possono essere le seguenti:

• Deviazioni mandibolari che si verificano quando la mandibola anziché chiudere al centro devia verso destra o verso sinistra;
• Morso crociato (o inverso) omolaterale si verifica quando la deviazione mandibolare è tale che i denti inferiori si chiudono esternamente ai superiori, cioè in maniera inversa rispetto la norma;
• Morso crociato bilaterale si verifica quando la dimensione trasversale del mascellare è inferiore rispetto alla norma ed i denti inferiori chiudono esternamente da entrambi i lati;
• Morso inverso anteriore;
• Morso crociato a carico di un solo dente;
• Morso a forbice si verifica quando un elemento inferiore si posiziona in maniera più linguale (interna) rispetto alla norma e/o il superiore in maniera più vestibolare (esterna) così che i due denti toccano sulle superfici esterne, e non con la superficie occlusale;
• Rotazione di un elemento dentario, sino alla sua completa inversione;
• Trasposizione dentaria quando un dente nasce al posto di un altro e viceversa.

Per una corretta diagnosi si devono obbligatoriamente eseguire determinati esami che sono i seguenti:

• Foto intraorali ed extraorali del paziente;
• Impronte di studio con arco facciale;
• Cefalometria
• Eventuale condilografia.

In base al momento in cui si interviene possiamo dividere l’ortodonzia in due grandi famiglie:
ORTODONZIA INTERCETTIVA
ORTODONZIA DELL’ADULTO

L’ortodonzia intercettiva si mette in atto nei bambini sino ai ragazzi sino a che sono ancora presenti i denti da latte; quindi, quando ancora la dentatura non è matura. Lo scopo è quello di “intercettare” la crescita errata della bocca e di prevenire malocclusioni più gravi. Il vantaggio di questo tipo di ortodonzia è che si agisce sull’osso, stimolandone la crescita corretta, non si va ad agire direttamente sul dente storto, ma questo, avendo stimoli ossei diversi, potrebbe allinearsi in autonomia. Personalmente cerco il più possibile a ridurre al minimo il tempo di trattamento in questa fase; infatti, lo scopo è solo quello di eliminare difetti macroscopici che limitano e condizionano ad uno sviluppo scorretto delle ossa mascellari. Esempi sono difetti trasversali, cross e morso estremamente coperto. Una volta corretto questo difetto lascio libero di svilupparsi e crescere il sistema masticatorio per rivalutare in seguito la necessita di un trattamento ortodontico fisso che è più efficace e sicuro.

L’ortodonzia dell’adulto si esegue da quando la dentatura è matura, ciò significa che anche a 13-15 anni il paziente può intraprendere un percorso terapeutico con ortodonzia dell’adulto. Il trattamento è eseguito attraverso dei “bottoni”, chiamati attacchi, che si incollano ai denti, su cui sono legati un filo metallico continuo che ha il compito di spostare il dente.

Molte sono le tecniche che vengono usate per l’ortodonzia che differiscono per forma degli attacchi, materiale del filo ed esecuzione tecnica, quella che applichiamo nel nostro studio segue la scuola di pensiero del Prof. Sadao Sato attraverso la tecnica del MEAW.

Tale tecnica mi permette infatti di armonizzare l’intero organo masticatorio e quindi di far funzionare in maniera adeguata denti ed articolazione. Importante sottolineare che a differenza di altre tecniche questa mi permette di trattare i pazienti assolutamente individualizzando la terapia.

La Protesi è quella parte dell’Odontoiatria che si occupa di sostituire gli elementi dentari persi ed ha lo scopo di ripristinare le funzioni della bocca che altrimenti sarebbero deficitarie.

L’esecuzione di manufatti protesici si avvale della collaborazione della figura dell’odontotecnico, che si occupa della costruzione fisica dei manufatti. Nel nostro studio, per quanto possibile, vengono utilizzati materiali metal-free, con un più alto effetto estetico e miglior tollerabilità dei tessuti.

Possiamo dividere la protesi in due grandi categorie, la protesi mobile e la protesi fissa.

La protesi fissa è quella che più facilmente si integra alla bocca ed è sicuramente tollerata da tutti i pazienti, essa sostituisce e/o ricostruisce i denti in maniera molto naturale, mimetizzandosi alla dentatura naturale residua.

• Corona: questo tipo di manufatto ripristina la forma di un dente singolo gravemente compromesso. Il dente deve essere preparato in modo tale da poter ospitare una copertura senza ispessire il dente, questa procedura purtroppo elimina molto tessuto dentale e quindi spesso si fa su denti devitalizzati. Il vantaggio su questi elementi è molteplice, infatti ricoprire un dente devitalizzato con una corona ne limita il rischio di frattura, ripristina in maniera migliore la forma e può essere risolto il problema di eventuali discromie derivanti dalla devitalizzazione stessa.
• Ponte: ha lo scopo di sostituire un elemento mancante attraverso un manufatto che è costituito da più elementi uniti insieme. Il classico ponte è costituito da tre elementi uniti tra loro, il dente mancante che viene sostituito è quello centrale, viene chiamato travata, ed i due elementi estremi sono praticamente delle corone che si appoggiano a dei denti, vengono chiamati pilastri. Lo svantaggio di questo tipo di manufatto è quello di impedire il passaggio corretto del filo interdentale, limitandone l’igiene quotidiana, di dover preparare i due elementi limitrofi al dente mancante, e di dover perdere tutto il lavoro in caso di problemi ad uno dei pilastri.
• Ponte Maryland: è un particolare tipo di ponte che sostituisce un dente mancante attraverso due alette che sono incollate alla superficie palatale o linguale degli elementi adiacenti a quello assente, tipicamente si usa per gli elementi anteriori, il vantaggio rispetta ad un ponte tradizionale è la possibilità di risparmiare il tessuto dentario degli elementi pilastro, naturalmente non può essere utilizzati in settori posteriori dove il carico masticatori è più forte;
• Ponte a Bandiera: è un manufatto che uso pochissimo, assolutamente sconsigliato nelle zone posteriori, potrebbe trovare utilità in casi selezionati dove la mancanza di un incisivo laterale si associa ad un canino devitalizzato, infatti è costituito da un a corona a cui è unito l’elemento mancante, lo svantaggio per queto tipo di manufatto deriva dal fatto che si creano delle forze svantaggiose sull’elemento pilastro che potrebbero portarlo a muoversi, a decementarsi spesso o addirittura alla frattura;
• Ponte con elemento in estensione: Questo tipo di protesi è molto simile al ponte classico, ma l’elemento travata di trova ad una delle due estremità, le indicazioni sono limitate perché i carichi sono distribuiti in maniera non equilibrata, da sconsigliare quando l’elemento in estensione si trova adiacente ad un dente devitalizzato, in questo caso è frequente la frattura dell’elemento travata creando un sicuro insuccesso;
• Faccetta; considero questa tipologia di manufatto al pari di una protesi, ma rispetto alla protesi tradizionale è molto conservativa; infatti, necessita di una preparazione minima della sola superficie vestibolare dei denti anteriori, a volte posso addirittura essere prive di preparazione, sono indicate in casi di estetica dentaria e sono indicate su denti vitali. Le faccette possono essere di diversi materiali, composito, ceramica feldspatica o disilicato di litio, hanno uno spessore minimo, simile a quello delle lenti a contatto, per cui sono molto estetiche perché riflettono il colore naturale del dente e si integrano perfettamente con esso, per questo in caso di forti discromie è meglio non utilizzarle. Esse sono incollate ai denti attraverso una procedura di adesione tramite cementi compositi adesivi;
• Intarsi ed overlay: sono manufatti che ricostruiscono una porzione del dente, sono indicati per denti vitali, e si cementano mediante tecniche adesive come per le faccette. Gli overlay si differenziano dagli intarsi perché vanno ad inserirsi nei denti nella parte superiore, come dei cappelli, ed hanno lo scopo di ripristinare la mancanza di altezza dei denti posteriori.

La protesi mobile consiste in soluzioni che non sono fissate ai denti, ma devono essere rimosse dal paziente per le procedure di igiene orale quotidiana. Esse sono meno tollerate dai pazienti in quanto sono meno stabili durante l’esecuzione delle funzioni della bocca e possono dare fastidi ed irritazioni alle gengive, ma a volte sono necessarie per ripristinare situazioni con compromissione estrema, e possono essere utilizzate come soluzioni provvisorie in attesa di un lavoro definitivo più tollerabile.
Qui di seguito le varie tipologie di protesi mobile:

• Protesi Totale: sono soluzioni protesiche che riabilitano la totalità dei denti, sono costruite in materiali resinosi in cui si possono distinguere una porzione dentale, ed una porzione gengivale che ne rappresenta la maggior parte. La tenuta della protesi è ottenuta grazie ad un appoggio totalmente mucoso grazie ad un meccanismo che si chiama suzione, in pratica lo stesso che avviene per le ventose;
• Protesi parziale mobile: questo tipo di soluzione protesica va a sostituire un gruppo di denti più limitalo, anche esso è costituito da materiali resinosi, e la tenuta si ha grazie ad un appoggio mucoso, che però è meno efficacie rispetto alla protesi totale perché limitato ai soli denti mancanti, e da un aiuto dato da dei ganci costruiti piegando fili metallici in acciaio. Questa soluzione purtroppo è la più fastidiosa perché più instabile ed ingombrante ed è usata prevalentemente come soluzione provvisoria;
• Protesi scheletrata mobile: questa tipo di soluzione protesica è indicata per le edentulie parziali, cioè quando ci sono ancora denti residui in bocca; quindi, ha le stesse indicazioni della protesi parziale, ma differisce per i materiali con cui è formata. L’essenza di questa protesi è che ha uno “scheletro” metallico costruito in maniera individuale sul modello della bocca del paziente, su cui si ancorano i denti in resina-composito ed in oltre il sistema di ancoraggio avviene con dei ganci fusi, più precisi sui denti e con un appoggio superiore che ne impedisce l’affossamento sulle mucose.

Una particolare tipologia di protesi, che unisce le due già elencate, viene chiamata protesi combinata. Quest’ultima viene eseguita quando mancano numerosi elementi dentari ed è costituita da una parte fissa, che rimane cementata in bocca ancorata agli elementi rimasti in bocca, ed una parte mobile formata da una protesi scheletrata che si ancora alla parte fissa attraverso un sistema di fissaggio simile a dei bottoni automatici. Il vantaggio di questo tipo di protesi è quello di avere una protesi mobile con una stabilità ed estetica molto simile alla protesi fissa, ha un appoggio misto sia sulle gengive che sui denti, proprio attraverso il sistema di ancoraggio.

L’implantologia è un settore dell’odontoiatria che è a cavallo tra la protesi e la chirurgia; infatti lo scopo dell’implantologia è quello di inserire nelle selle osse edentule delle viti che hanno lo scopo di permettere l’inserzione di corone protesiche, sono una sorta di radici artificiali su cui si ancorano i denti, questo può avvenire solo attraverso un intervento chirurgico più o meno semplice, ma necessita una progettazione protesica prima per poter inserire una corona in posizione corretta ea anche con una forma corretta.

L’impianto è formato da due porzioni, la prima che va inserita nell’osso, è la fixture implantare vera e propria ha lo scopo in ancorarsi all’osso grazie ad una integrazione ossea. Quest’ultima si ottiene perché il materiale che costituisce l’impianto è altamente biocompatibile, per cui le cellule si attaccano fisicamente ad esso; quindi, l’insieme di tutte le cellule attaccate danno la forza necessaria alla fixture di poter reggere una corona ed i relativi carichi masticatori. La seconda porzione che costituisce l’impianto è chiamata abutment. Esso ha lo scopo di ancorare la corona protesica all’impianto attraverso una vite di fissaggio. La corona può essere cementata fuori dalla bocca e poi avvitata in bocca, o cementata direttamente in bocca, le due modalità sono scelte in base alle esigenze, anche se la mia preferita è la cementazione al di fuori della bocca ed il successivo avvitamento in bocca, questo perché facilità l’eventuale reintervento.

Esistono due tipi di impianti diversi, gli impianto bone level, che vengono posizionati a livello della cresta ossea, e gli impianti tissue level che hanno una porzione intraossea ruvida, ed un collo liscio che rimane in posizione transmucosa. La differenza fondamentale tra i due è che nel primo caso, dato che l’impianto è situato al di sotto della gengiva, a livello osseo, per poterlo protesizzare è necessario reintervenire chirurgicamente per scoprire la testa dell’impianto ed avere accesso alla porzione di alloggiamento della vite, mentre nel tissue level l’impianto si trova già in comunicazione con la cavità orale e non necessita di reintervento chirurgico.

Il primo è utilizzato maggiormente in caso di inserzioni in zone estetiche o in associazione di interventi di rigenerazione ossea, il secondo si usa maggiormente in settori posteriori dove l’esigenza estetica è minore.

A volte il sito che deve ospitare l’impianto ha dei difetti ossei, per cui è necessario attuare degli interventi aggiuntivi per poter permette l’inserzione della fixture.

Gli interventi maggiormente eseguiti sono la rigenerazione ossea guidata (GBR), il mini rialzo del seno mascellare ed il grande rialzo del seno mascellare.

La GBR si esegue quando lo spessore dell’osso non è adeguato, o si creano dei piccoli difetti nella superficie vestibolare dell’osso a causa dello spessore esiguo dell’osso residuo. La procedura consiste nell’inserire l’impianto, coprire la porzione dell’impianto rimasta esposta con del particolato osseo, che può essere autologo, proprio del paziente, o eterologo, di origine animale, inserire una membrana che ha lo scopo di bloccare il particolato osseo ed in fine chiudere tutto con la gengiva. Il particolato osseo si trasformerà in seguito in osso del paziente cosi da avere una protezione per l’impianto stesso.

Il mini rialzo ed il grande rialzo si eseguono nelle ossa mascellari. Quest’ultime sono cave a causa della presenza dei seni paranasali, se questi sono molto grandi limitano la quantità in altezza dell’osso dove dovrà andare l’impianto, cosi per poterlo inserire in queste zone si deve ricorrere a queste due tecniche.

Il mini rialzo si esegue quando l’osso residuo ha l’altezza minima di tre millimetri, praticamente di prepara il letto implantare sino a quanto è possibile, poi attraverso degli strumenti si eleva il pavimento del seno mascellare sino a quanto necessario ed in ultimo si inserisce l’impianto. Quindi si ha l’inserzione contemporanea della fixture implantare con un solo atto chiruigico.

Il grande rialzo si esegue quando l’osseo residuo è inferiore a tre millimetri. Si procede con un accesso chirurgico sulla superficie vestibolare del seno mascellare, qui si deve aprire una piccola botola per avere accesso al seno mascellare, si scolla piano piano la mucosa interna per permettere l’inserimento di particolato osseo sino ad avere un riempimento adeguato all’inserimento del successivo impianto, a questo punto si chiude bene tutto e si attende la guarigione che in questi casi è anche di sei mesi, solo ora si può inserire un impianto nella zona trattata.

Ora le moderne tecnologie digitali permettono l’inserimento di impianti in maniera più precisa e veloce, con minimi rischi per il paziente.

La parodontologia si occupa dello studio e del trattamento di tutte quelle patologie che colpiscono i tessuti di sostegno dei denti.

Il dente è infatti tenuto stabile nell’arcata dentaria da un insieme di tessuti che sono gengiva, osso alveolare, legamento parodontale e cemento radicolare. In pratica i denti non sono inchiodati nell’osso, ma sono come sospesi in uno alloggiamento osseo, che si chiama alveolo dentale, grazie a dei filamenti che danno vita al legamento parodontale. Quest’ultimo si ancora al dente, grazie allo strato di cemento radicolare, e decorre perpendicolarmente alla radice verso il tessuto osseo dove si trova uno strato più denso, la lamina ossea, che funge da ancoraggio per il legamento stesso.

Lo spazio compreso tra il dente e la lamina ossea alveolare si chiama spazio parodontale, esso varia da dente a dente e permette un piccolo grado di mobilità al dente stesso. I denti anteriori hanno uno spazio più ampio rispetto ai denti posteriori, per cui i denti anteriori hanno un grado di mobilità maggiore rispetto ai posteriori, naturalmente la possibilità di movimento dei denti sani non va oltre i 100 micron, circa 0,1 mm. All’interno dello spazio parodontale decorrono fibre nervose e vasi sanguigni, le prime sono stimolate dal contatto tra i denti che li rendono dei veri e propri organi sensoriali, infatti sono stimolati da variazioni di pressione e ci permettono di distinguere la consistenza dei cibi che mangiamo, e naturalmente, di modulare la forza masticatoria e di controllare la dinamica dei movimenti durante la masticazione e la fonazione, ecco perché è fondamentale la salvaguardia dei nostri denti.

La malattia parodontale colpisce appunto questi tessuti ed è una malattia infettiva multifattoriale sito specifica, vale a dire che ha sempre una causa batterica ed agisce insieme a più concause, che aggravano ed accelerano la patologia. Esse sono le seguenti:

• Scarsa igiene orale;
• Ereditarietà, quindi la predisposizione genetica;
• Composizione della placca batterica, ci sono batteri più patogeni di altri;
• Fattori predisponenti locali come ad esempio affollamenti dentari, margini di otturazioni o corone incongrue, anomalie anatomiche dentarie;
• Malattie sistemiche come diabete, lupus;
• Fumo;
• Traumatismi da abitudini viziate;
• Bruxismo.

La patologia parodontale, causa principale della perdita dei denti in età adulta, è una malattia evolutiva, non inizia quasi mai dalla forma più grave, tranne in rarissimi casi, e per questo può essere rallentata e fermata prima che sia troppo tardi.

La fase iniziale è reversibile, non si hanno perdite di attacco o tessuti di sostegno dei denti è caratterizzata dall’infiammazione delle gengive che da vita a sintomi come gonfiore, rossore, dolore gengivale associato a sanguinamento anche spontaneo. Questo stato di malattia si chiama GENGIVITE.

La gengivite è caratterizzata dalla mancanza di perdita di attacco e dalla formazione di Pseudotasche dovute al gonfiore gengivale. Fortunatamente se trattata si riesce ad avere una guarigione completa ed un ripristino dei normali tessuti. Il trattamento consiste in semplici sedute di igiene professionale e solo a volte necessita di terapia farmacologica come ad esempio antibiotico.

Se non trattata la gengivite si può trasformare in una forma di parodontite più grave caratterizzata da perdita di tessuto di sostegno del dente, quindi di osso e legamento parodontale, e alla formazione di tasche parodontali. Queste sono degli spazi virtuali tra dente e gengiva caratterizzati dalla presenza di batteri, i quali protetti dall’ambiente orale, continuano imperterriti a proliferare ed a peggiorare la malattia parodontale sino alla perdita totale del tessuto e conseguentemente del dente. I sintomi, oltre a quelli della gengivite, sono caratterizzati da mobilità accentuata degli elementi dentali che aumenta all’aumentare della perdita di attacco. Nei casi più gravi alla mobilità si aggiunge la produzione di pus all’interno delle tasche, per questo motivo una volta, questo stato avanzato della patologia, veniva chiamato piorrea.

Quando la malattia parodontale si approfondisce sino ad avere la perdita di attacco la terapia ha lo scopo di rallentare sino a bloccare il progredire della patologia, purtroppo l’attacco parodontale perso è difficilmente recuperabile. Il trattamento consiste nell’eliminare il più possibile i fattori di rischio presenti, associando sedute di igiene orali frequenti ed istruzioni di igiene specifiche per la situazione, lo scopo è abbassare la carica batterica il più possibile.

In una seconda fase, quando il paziente ha ottenuto un adeguato livello di igiene orale, si passa ad una fase di pulizia profonda delle tasche. Queste, infatti, sono costituite da una porzione gengivale ed una porzione intraossea, quest’ultima porzione è più difficile da raggiungere con i semplici strumenti sonici senza anestesia, per cui si va ad eseguire una pulizia profonda manuale andando a pulire in profondità la tasca intraossea.

Una terza fase della terapia è caratterizzata dalla chirurgia parodontale, in questo caso si cerca di sistemare anatomicamente la situazione ossea attraverso un rimodellamento osseo per resezione e/o rigenerazione. Il rimodellamento per resezione di fa eliminando quelle sporgenze ossee che possono favorire l’accumulo di placca e cercando di ricreare una festonatura naturale là dove la malattia parodontale ha eroso l’osso in maniera irregolare. La rigenerazione ossea si esegue quando permangono delle tasche intraossee che permettono il riempimento ed il recupero dei tessuti parodontali attraverso l’uso di materiali rigenerativi come le amelogenine, proteine che originano dal germe dentario e che stimolano la formazione di tessuto. Naturalmente durante la chirurgia parodontale vengono usate entrambe le modalità di chirurgia.

La prognosi per un dente dipende sempre dal grado di avanzamento della patologia, clinicamente si può valutare la patologia anche in base alla motilità; infatti, un dente che ha un movimento trasversale di oltre un millimetro può essere recuperato, purché questo movimento non sia anche verticale, in quest’ultimo caso la prognosi è veramente infausta. Un fattore di rischio che aggrava la prognosi nei settori posteriori è se la tasca ha compromesso la forcazione delle radici; infatti, gli elementi posteriori hanno più radici, il punto dove si dividono le radici si chiama forcazione, se la tasca parodontale dovesse raggiungere questo livello, la difficolta a mantenere pulita la superficie diverrebbe elevatissima, con la conseguenza di una compromissione del dente.

“Prevenire è meglio che curare”

Sembra uno slogan pubblicitario ovvio, ma è alla base di tutta la medicina.

Andare dal medico in generale, solo quando si ha un problema, equivale a portare la macchina dal meccanico solo quando non funziona, il rischio è che per sistemare le cose bisogna intervenire in maniera più radicale.

In odontoiatria la prevenzione si attua attraverso visite periodiche e pulizie dentarie professionali regolari, naturalmente non esiste una regola uguale per tutti per definire ogni quando fare l’igiene professionale; infatti, ogni paziente ha fattori di accumulo della placca diversi, e naturalmente problematiche diverse, i cicli di ablazione possono variare da ogni quattro mesi ad un anno.

Lo scopo di eseguire visite periodiche è quello di preservare il più possibile i denti naturali in modo da poter avere una buona qualità della vita il più a lungo possibile, il concetto è che comunque, ogni tipo di protesi, ogni tipo di terapia ha sempre un tempo limitato nel tempo e non è mai come la nostra dentatura naturale.

Nel nostro studio la seduta di igiene orale consiste nell’ablazione del tartaro mediante strumenti meccanici, in particolare con delle punte iposoniche, associati a rimozione manuale e lucidatura finale, naturalmente questa è anche l’occasione di rinfrescare anche le tecniche di igiene domiciliare, qual ora ce ne sia bisogno.

L’igiene domiciliare si deve avvalere di diversi strumenti, e soprattutto almeno 2 minuti per volta, spesso infatti la fretta è la scusa più ovvia per dare poco tempo alla pulizia dei denti.

Gli spazzolini da usare devono essere medi, troppo morbidi riducono l’efficacia della pulizia e troppo duri possono causare lesioni alle gengive o addirittura ai denti, l’uso del filo è indispensabile per poter raggiungere le superfici tra i denti ed a volte anche lo scovolino può essere d’aiuto quando gli spazi interdentali sono troppo ampi, il dentifricio utile, ma non indispensabile, deve essere poco abrasivo, il collutorio non contribuisce alla pulizia dei denti, serve per lasciare la bocca più fresca.

La conservativa è quella braca dell’Odontoiatria che si occupa della cura dei denti cariati tramite l’eliminazione del tessuto dentale patologico e la sua sostituzione con materiali specifici. Con la conservativa ha quindi lo scopo di conservare il più possibile i tessuti sani dentali e di sostituirli con materiali artificiali il più compatibili possibili. Esistono diversi materiali che vengono usati per tale scopo, i più usati sono le amalgame d’argento ed i compositi.

L’amalgama è il materiale più vecchio usato in conservativa, è quello che ha una durata maggiore, ma ha una estetica pessima, infatti ha un colore che va dal grigio chiaro al nero. I suoi componenti sono metallici e principalmente sono argento, stagno, rame e mercurio. Negli ultimi anni ha suscitato notevoli polemiche proprio a causa dei suoi componenti indicandola come potenzialmente tossica per l’organismo. Proprio per questo motivo, e per le crescenti esigenze estetiche, nel nostro studio, l’amalgama non viene più usata. Il materiale di elezione che si usa è quindi il composito che ha caratteristiche estetiche buone ed ormai, se utilizzato con le dovute precauzioni, ha una durata paragonabile a quella dell’amalgama. E’ un materiale costituito da una parte inorganica inglobata in una matrice di resina.

Appare come una pasta morbida che si indurisce con la luce(fotopolimerizzabile), l’uso di questo materiali subisce però influenze negative da un’ambiente umido, quindi quando usato si devono usare particolari attenzioni isolando bene il “campo di lavoro” con rulli salivari o ancor meglio con l’uso di una diga di gomma, la quale tiene ben asciutto il dente e quindi permette una ricostruzione più precisa e più duratura. Quando non si riesce ad isolare bene si deve optare all’utilizzo di materiali alternativi, vetroionomeri, che hanno una maggiore resistenza all’ambiente umido, anche se sono meno duri e resistenti.

Negli ultimi anni l’estetica è diventata un’esigenza molto richiesta da parte dei nostri pazienti, essa non è una branca specifica dell’odontoiatria, ma diventa un obbiettivo finale alle terapie per tutte le branche.

Considero l’estetica dentale una delle funzioni della bocca, perché è proprio attraverso la bocca che ci relazioniamo con il prossimo, durante la fonetica e con la mimica facciale possiamo esprimere le nostre emozioni e sentimenti, ed è naturale che la percezione di noi stessi influenza le nostre emozioni e la nostra sicurezza, ed indirettamente il modo di interagire con il prossimo.

La sfera emotiva è influenzata dal nostro stato di benessere psichico, ed avere un bel sorriso aiuta sicuramente ad accettarci ed a stare bene con noi stessi.

Quando si parla di estetica non dobbiamo considerarla solo durante il sorriso, ma anche durante la fonetica.

Il sorriso deve essere proporzionato, i denti si devono scoprire in modo giusto, facendo vedere anche una porzione di gengiva, gli incisivi superiori devono sfiorare il labbro inferiore, e forma e proporzione tra i denti deve essere corretta.

Durante la fonetica i denti superiori si devono vedere, in maniera diversa in base all’età ed al sesso, ed i denti inferiori devono solo intravedersi.

In ultimo il colore può influenzare l’estetica del sorriso, infatti forti discromie possono portare ad inestetismi spiacevoli, come quelle causate da farmaci o da traumi.

Oggi i mezzi per avere un bel sorriso non mancano, e solo una multidisciplinarità delle terapie ci permette di centrare l’obbiettivo quando si parla di estetica.

Naturalmente i mezzi sono molteplici e qui ne elencherò solo alcuni, che come già detto spesso funzionano meglio solo in combinazioni tra loro;

• Faccette in composito;
• Faccette in ceramica;
• Corone estetiche senza metallo;
• Ortodonzia classica;
• Ortodonzia invisibile;
• Intarsi in composito;
• Intarsi in ceramica.

La conservativa e l’endodonzia si occupa di preservare il dente nella bocca prima eliminato i tessuti che posso far progredire la patologia dentale e poi ricostruendo la parte mancante con materiali idonei.

Nella figura a lato viene mostrata l’anatomia del dente, nella porzione di destra, ed alcune patologie che lo possono colpire

Il dente è formato da una porzione visibile nella bocca, esterna quindi all’osso e gengiva, che si chiama “Corona”, ed una porzione interna all’osso, che non si vede, che si chiama “Radice”, il confine tra corona e radice viene chiamata “Colletto del dente”.

Il tessuto principale che costituisce la struttura interna del dente è la “dentina”, essa si trova sia sulla corona che nella radice, è un tessuto principalmente costituito per il 70 % da tessuto minerale, quindi duro, e nel suo interno corrono, dal centro verso l’esterno del dente, dei piccoli canali detti tubuli dentinali, i quali permettono il passaggio di stimoli esterni verso l’interno del dente. All’interno del dente, c’è una cavità, rivestita dalla dentina, che contiene la “polpa dentale”, essa è costituita va vasi sanguinei, nervi, cellule connettivali e cellule che rivestono la superfice della dentina, le cellule odontoblastiche. Quest’ultime hanno lo scopo di produrre dentina, sono molto attive durante la formazione del dente, creando così la dentina primaria, che forma la struttura principale del dente, poi rallentano notevolmente la loro attività, che continua per tutta la vita, riducendo il volume della cavità pulpare progressivamente; infatti, in pazienti giovali la cavità pulpare ed i relativi canali hanno un volume ampio, mente un paziente anziano possiede un volume pulpare notevolmente più stretto.

Nella corona la dentina è ricoperta da un tessuto durissimo, mineralizzato al 98-99%, che si chiama smalto. È costituito da delle formazioni allungate, chiamati prismi dello smalto, orientate dalla dentina verso la superfice esterna, esse dunque sono sorrette dalla dentina. Lo smalto è distribuito nella corona in maniera differenziata, è più spesso nella parte alta del dente, e a mano a mano si assottiglia andando verso il colletto dove finisce. Lo smalto è privo di sensibilità e protegge la dentina da stimoli esterni ed usure eccessive dando al dente la possibilità di rimanere per tutta la durata della vita di un individuo.

La dentina che si trova nella radice è ricoperta da un tessuto chiamato cemento radicolare, questo ha lo scopo di inglobare nel suo interno delle fibre legamentose che appartengono al “legamento parodontale”. Queste ultime si ancorano quindi al cemento e decorrono, per la maggior parte, perpendicolari alla superfice della radice fino all’osso, dove qui si inseriscono. L’insieme di cemento, legamento e osso prende il nome di “parodonto” del dente ed ha lo scopo di tenere il dente nella sua sede ossea che si chiama “alveolo osseo”.

Lo spazio parodontale varia da dente a dente e nello stesso dente varia in base alla zona, permette un minimo grado di mobilità del dente, maggiore nei denti anteriori e minore nei denti posteriori, ed è percorso da vasi sanguinei e fibre nervose che rendono il dente un organo sensoriale fondamentale le la percezione ed il controllo delle forze masticatorie.

Le patologie che possono colpire il dente possono essere di origine fisica, chimica o batterica, il più delle volte è una combinazione di tutte.

Le cause fisiche sono legate a traumi ed abrasioni. I traumi possono causare diversi effetti, quelli legati al dente sono le fratture che possono essere più o meno complesse. Queste possono interessare solo la corona o la radice, quando però c’è l’interessamento della radice il più delle volte il dente è compromesso, quando la frattura si trova sulla corona può interessare solo smalto, smalto e dentina o smalto dentina e polpa. Le abrasioni sono per lo più legate ad usure da sfregamento tra i denti o da utilizzo di spazzolini troppo duri associati a prodotti abrasivi. In questo caso il dente si consuma gradualmente fino a consumare in maniera eccessiva lo smalto, scoprendo così la dentina, con la conseguenza di un aumento di sensibilità dentale. L’usura a volte è così avanzata che arriva sino a scoprire la polpa del dente compromettendone la vitalità.

Le cause chimiche derivano dal fatto che i tessuti dentari sono attaccabili dagli acidi; quindi, tutte le sostanze acide possono sciogliere la struttura dentaria creando così le erosioni. Gli acidi possono arrivare dall’esterno attraverso i cibi, come gli agrumi, l’aceto e determinati alimenti, o dall’interno del nostro organismo a causa del reflusso gastro-esofageo o addirittura il vomito. Le erosioni spesso si associano alle abrasioni e come queste possono causare un aumento di sensibilità dentale perché la dentina viene esposta, e se non trattate possono arrivare ad interessare la polpa.

Le cause batteriche sono quelle che causano la vera e propria carie. I batteri non attaccano direttamente il dente, loro i accumulano sulla superficie del dente, creando la placca batterica, e cibandosi di zuccheri li trasformano in sostanze acide creando così un microambiente acido al di sotto della placca. Questo ambiente acido attacca lo smalto sciogliendolo e creando delle cavita che vengono invase dagli stessi batteri che a loro volta continuano a creare ambiente acido che ingrandisce la cavità. Questo circolo vizioso da origine alla carie che quando arriva alla dentina aumenta la sensibilità del dente, e quando si approfondisce può arrivare sino alla polpa. I tutti i casi in cui la polpa viene esposta all’ambiente questa viene invasa dai batteri che qui proliferano e causano un’infiammazione, l’infiammazione si manifesta con il classico mal di denti acuto e molto forte. Se non trattato i batteri migrano dalla polpa, attraverso i canali radicolari, sino all’osso alla base della radice. Qui l’osso reagisce proteggendo l’organismo dall’invasione batterica con una risposta infiammatoria creando una sorta di barriera contro i batteri, questa barriera da vita al granuloma. Questo è un’infezione cronica che ha una evoluzione continua, pur rimanendo asintomatico per lungo tempo, ingrandendosi sino a diventare una cisti, spesso si acutizza causando dolore con ascessi, o cronicizzandosi con delle fistole, che non sono altro che valvole di sfogo per il pus. La conservativa si occupa appunto di curare queste patologie ricostruendo la parte del dente mancante dopo una accurata pulizia del dente da tessuti infetti e/o danneggiati creando così delle cavità pulite e regolari che devono essere successivamente riempite da materiali adeguati. I materiali possono essere molteplici, ora si prediligono materiali estetici che sono compositi resinosi o materiali ceramici. I materiali compositi vengono usati direttamente dal dentista ed il più delle volte permette un trattamento in un'unica seduta, mentre i materiali ceramici devono avvalersi della collaborazione dell’odontotecnico e quindi con costi maggiori e più sedute. La scelta tra i due metodi dipende principalmente dalla dimensione della cavità da ricostruire, per piccole cavità di prediligono i materiali compositi, per grandi cavità quelli ceramici. Quando la cavità raggiunge la polpa è inevitabile che si debba eseguire un trattamento endodontico che ha lo scopo di eliminare sia la sintomatologia ma anche di evitare l’evoluzione della patologia. Il trattamento endodontico viene chiamato comunemente ed erroneamente “devitalizzazione” del dente. In realtà la devitalizzazione è solo una fase del dente, e può essere corretta quando il dente è ancora con la polpa vitale, infatti, a volte la compromissione del dente è tale che la polpa è già morta, ed all’interno della cavità pulpare rimane un tessuto necrotico non vitale, misto tra batteri e residui organici della polpa. In quest’ultimo caso lo scopo del trattamento endodontico è quello di detergere e ripulire tutto il tessuto patologico. Alla fine del trattamento, quando i canali sono accuratamente detersi e sagomati sono sigillati con un materiale inerte con una chiusura tridimensionale del sistema canalare. Nel nostro studio l’endodonzia viene eseguita con strumenti rotanti meccanici al nichel-titanio che vengono cambiati dopo ogni dente trattato. Questi permettono una detersione e sagomatura del sitema dei canali dentali accurata, veloce e con il minimo consumo del dente, l’utilizzo “monodentale” dello strumento limita il rischio di separazioni dello strumento nel dente e il rischio di infezioni crociata. Il sistema da noi utilizzato è il Reciproc della dentsply associato alla tecnica di condensazione ad onda continua della guttaperca.

La chirurgia è quella branca della medicina che tratta le patologie con tecniche manuali, nello specifico la chirurgia orale va dalla semplice estrazione sino alla più complessa ricostruzione delle ossa mascellari, naturalmente a livello ambulatoriale le prestazioni chirurgiche devono essere limitate a quelle meno invasive, ed il limite è dato da come è strutturato la studio odontoiatrico.

La chirurgia abbraccia diversi settori dell’odontoiatria, infatti ad esempio la parodontologia e l’implantologia non sono altro che atti chirurgici eseguiti rispettivamente per preservare o sostituire degli elementi dentari, in senso lato tutte attività odontoiatriche fanno parte della chirurgia. Nel pensiero comune gli atti chirurgici veri è propri sono quelli che espongono il paziente a sanguinamento, questo non è una definizione scientifica, ma solo una semplificazione adottata da me per esporre al meglio ciò che viene eseguito in odontoiatria.

Le estrazioni sono comunemente eseguite in ambito ambulatoriale, dalle più semplici in cui non c’è bisogno di eseguire ulteriori manovre, alle più complesse che necessitano di punti o addirittura sollevare un lembo mucogengivale per poter avere accesso alla visione dei tessuti ossei.

La chirurgia dei denti del giudizio, principalmente dei settori inferiori, quando questi si trovano in inclusione ossea, è caratterizzata ma manovre più invasive; infatti, necessita l’esecuzione di un lembo più ampio e spesso dell’utilizzo di strumenti rotanti per poter tagliare il dente in più parti, lo scopo di questa procedura è quella di facilitare la fuoriuscita del dente che spesso si trova orientato in posizione sfavorevoli. La conseguenza di queste manovre invasive è il decorso postoperatorio che risulta più fastidioso per il paziente, con edemi e dolori più importanti.

L’esecuzione di un lembo, quindi un approccio più chirurgico, a volte è necessario per avere accesso a delle strutture coperte dalla gengiva, ad esempio carie troppo profonde, sottogengivali, impediscono l’otturazione del dente in maniera adeguata; quindi, un approccio anche chirurgico è indispensabile per il successo della terapia. Granulomi che si trovano al di sotto di denti con corone e perni necessitano di ritrattamento, ma a volte la presenza di manufatti, o altre esigenze particolari, obbligano ad eseguire una procedura chirurgica in cui si solleva un lembo per poter approcciare direttamente la lesione e di sigillare il dente dalla radice. Questo approccio retrogrado di chiama apicectomia, questo tipo di soluzione di più eseguire anche per piccole cisti.

Gran parte della chirurgia ambulatoriale odontoiatrica si attua soprattutto per l’esecuzione della IMPLANTOLOGIA e della PARODONTOLOGIA.

Negli ultimi anni si visto un notevole sviluppo delle tecnologie digitali anche in campo odontoiatrico. Questa evoluzione ha permesso lo sviluppo di alcune tecniche che prima erano più difficile da ottenere, una di esse è appunto l’ortodonzia invisibile.

Questa particolare tipo di terapia è pensata per sostituire l’ortodonzia classica, ma ancora non è possibile, però per casi selezionati può essere la terapia di scelta. Come per l’ortodonzia classica anche questa ha lo scopo di allineare i denti, il limita maggiore è dovuto al fatto che con difficoltà riesce ad ottenere un buon rapporto tra le arcate, ed è controindicata in casi di disfunzione cranio-mandibolare.

La tecnica in questione consiste nel progettare un allineamento ideale da un’impronta digitale, una volta valutata l’ipotesi finale di allineamento si procede alla costruzione di una serie di mascherine trasparenti sequenziali in cui ognuna i denti saranno spostati di un minimo, sequenzialmente ogni 15 o 20 giorni vengono cambiate sino ad ottenere lo scopo prefissato.

Il vantaggio è la bassissima invasività delle mascherine in bocca e praticamente la quasi invisibilità, queste caratteristiche permettono di portare le mascherine 24 ore al giorno e quindi di poter funzionare correttamente.

Un limite consiste nella collaborazione del paziente che deve essere assoluta; infatti, la riuscita del trattamento è legata solo al fatto di portare sempre le mascherine, una poca collaborazione comporta l’insuccesso della terapia.